GUERRA MONDIALE E RESISTENZA AL PLURALE NELLA MEMORIA DELLA CLASSE MULTIETNICA

A 73 anni dalla conclusione del Secondo conflitto mondiale, 19 interviste raccolgono la memoria del vissuto familiare, testimonianze che aiutano ad acquisire uno sguardo meno euro ma soprattutto meno italo centrico sul conflitto e una visione plurale della Resistenza. Esse portano a “scoprire” la storia e a costruire una narrazione storica polivalente, necessaria a formare l’attitudine all’incontro e a sviluppare la capacità di assimilare il diverso da sé, caratteristiche oggi forse più importanti della stessa coscienza critica. (Abstract)

Guerra mondiale e Resistenza al plurale nella memoria della classe multietnica

A 73 anni dalla conclusione del Secondo conflitto mondiale potrebbe sorgere ragionevolmente il dubbio di riuscire a rintracciare ancora nelle famiglie la memoria di quegli eventi, il loro vissuto e anche il pensiero di avere in fondo già raccolto quanto era possibile, dopo aver proposto, dal 2000 ad oggi, almeno in una decina di classi, l’inchiesta sulla memoria familiare.
Invece, con stupore, mi sono trovata a constatare quanto interesse susciti ancora nei nostri studenti questo tipo di indagine, quanto sia utile ai fini della riscoperta di una “materia”, la storia, avvertita arida e nozionistica, e quanti elementi abbia offerto alla nostra riflessione per una considerazione globale della guerra e della Resistenza, anche elementi nuovi e diversi, rispetto alle inchieste condotte negli anni precedenti.
La raccolta delle testimonianze, realizzata secondo il metodo dell’intervista, è avvenuta nell’ambito di un progetto di asl e questo va ricordato, in quanto, se da un lato ne ha limitato la valorizzazione in quanto non inserita nel curricolo di storia dell’ultimo anno, dall’altro l’impegno degli studenti e la composizione della classe ha consentito di trarre comunque delle conclusioni importanti.
Le prime e fondamentali osservazioni riguardano la “scoperta” della storia. Non c’è stata la possibilità, ma non rientrava nelle finalità del progetto, di far acquisire una consapevolezza del lavoro dello storico e del significato dell’interpretazione storiografica, tuttavia la raccolta delle interviste, la loro condivisione nei gruppi e la restituzione finale alla classe in un confronto con l’insegnante, hanno consentito di mettere per lo meno a fuoco alcuni aspetti essenziali.
Innanzitutto la constatazione che non c’è solo la storia degli eventi o delle situazioni sociali. C’è anche “la storia dei ricordi puri, della vita per come era. […] Racconta chi sono, racconta il tempo e gli eventi e racconta la verità, ovviamente filtrata dagli occhi e dagli anni, ma pur sempre verità” (E.Maneri)
La storia “non è solo qualcosa che si studia ed è scritto sui libri, ma qualcosa che ognuno di noi vive tutti i giorni.” (S. Tassi)
Le testimonianze dirette aiutano a dare un peso reale agli avvenimenti: “l’esistenza di persone a me vicine quel peso l’hanno sentito eccome. Ed ecco come ciò che studiamo nel libro di storia diventa molto più reale e inquietante e paurosamente intimidatorio” (B. Esposito) Le storie raccontate affascinano, coinvolgono, portano a conoscenza di “dettagli di cui magari senza questo progetto non sarei mai venuta a conoscenza” (H. Stephens), aiutano perciò il dialogo tra le generazioni, pilastro di stabilità personale e sociale.
L’intervista è lo spazio in cui si incontrano due soggettività, è una esperienza forte per entrambe. Il nonno racconta al nipote dei suoi genitori. I genitori suppliscono i nonni, quando non ci sono più. La testimonianza è perciò l’esito di un dialogo, non una registrazione asettica ed impersonale. Il forte coinvolgimento emozionale è essenziale per la trasmissione della memoria: la testimonianza “è un dipinto ad olio stupendo che appenderò da qualche parte nella mia mente, sperando che non scolorisca” (E.Maneri)
Per questo l’ambito più idoneo per l’ascolto delle testimonianze è quello di un piccolo gruppo, discreto e rispettoso, idoneo a ricevere confidenze e che mette il testimone nelle condizioni di potersi aprire e dire di sé. Questo è vero per i casi drammatici dei superstiti ai campi di sterminio, ma anche per i ricordi della vita della propria famiglia: “È stato molto bello avere uno spazio [i gruppi nelle ore di storia] ristretto ed accogliente in cui condividere quei racconti così importanti per ognuno di noi.” (E. Maneri)
La seconda importante constatazione a cui  la ricerca ha portato (sono state raccolte 19 interviste da parte di 12 studenti) riguarda l’esistenza di diversi punti di osservazione di uno stesso fenomeno, perciò  la scoperta di una pluralità di angoli visuali, ognuno a suo modo vero: “Dopo aver sentito i racconti dei compagni ho modo di guardare il passato attraverso più occhi, nessuno di essi sbagliato”. (N.Querzola)
Nei gruppi, dove sono state lette le interviste “sono emerse diverse posizioni prese dai diversi parenti in quell’epoca. Così c’è stato un bel dibattito per cercare di immaginarsi e immergersi in quel tempo, cercando di coinvolgere il più possibile i nostri ospiti.” (T.Okada).
Nella fase successiva, cioè durante la restituzione alla classe dei risultati del confronto nei gruppi, l’insegnante ha avuto la possibilità di collocare quei ricordi particolari nel contesto più generale, con spiegazioni semplici ed essenziali, facendo quindi intravvedere il quadro storico di riferimento, ma non distogliendo l’attenzione dalle storie individuali, perché l’obiettivo delle lezioni di storia della  classe del progetto non è stato l’apprendimento del metodo storico, ma la partecipazione di tutti alla costruzione della stessa narrazione storica.
Le 19 interviste ci hanno dato la possibilità di avere uno sguardo meno euro ma soprattutto meno italo centrico sul Secondo conflitto mondiale. Il progetto ha trovato l’adesione di studenti con genitori non italiani e questo ha arricchito molto il nostro lavoro, in questo caso con contributi originali di storie familiari, provenienti dalla Cina, dal Camerun, dall’Inghilterra e dalla Svezia, che, non partecipando al conflitto, lo visse solo indirettamente.
Echi della Battaglia d’Inghilterra sono presenti nella testimonianza di Daniel Stephen, che racconta dei nonni materni che vivevano in Cornovaglia.
“Walther, il padre di mia madre, aveva fatto carriera nella marina militare reale. […] Avrebbe dovuto andare in pensione circa in quegli anni, ma non poté per l’arrivo della guerra. […] Poiché spesso trasferivano i marinai più anziani con maggior esperienza da una nave all’altra per insegnare ai giovani marinai, spesso gli capitò di sentire che una delle sue vecchie navi era affondata dopo la sua partenza.”
“Mia nonna raccontava di come si vide per giorni l’incendio proveniente dall’importante centro navale Plymouth che era stato bombardato. Si ricordava di come questi incendi erano così tragici da riuscire a illuminare anche il cielo notturno, anche se lei abitava a circa 80 km di distanza.”
Ma è dalle aree extraeuropee che provengono i riferimenti più nuovi ed interessanti.
“I miei nonni erano persone molto semplici che lavoravano come contadini e ogni tanto aiutavano le persone del paesino. Tutti vivevano in campagna, lontani dalla città e non avevano ricevuto neppure l’istruzione elementare. A quei tempi, in Cina non era molto diffusa l’istruzione e i ragazzi, soprattutto di quelli di bassa estrazione, erano costretti a lasciare la scuola per lavorare al fianco dei genitori nei campi. […] Pur essendo in una cittadina molto piccola e isolata in campagna dalla città più vicina, loro sentivano parlare della guerra e avevano paura dell’arrivo dei giapponesi. Si respirava un’aria di terrore per l’invasione giapponese, ma, prima di tutto, tutti temevano di sentire gli aerei giapponesi sorvolare il cielo per poi sganciare bombe distruttive.” (testimonianza di Zhou Xiao Wei)
“Mia nonna all’epoca aveva sedici anni e viveva in una località di montagna chiamata Bana in Camerun, non lavorava ancora, ma possedeva un diploma di quinta elementare, che a quei tempi ti permetteva di lavorare.” Ti hanno raccontato dei bombardamenti? “Si, in particolare di un bombardamento in cui lei e la sua famiglia hanno dovuto nascondersi nella foresta per sfuggire alle bombe.” (testimonianza di Lenteu Hortense)
La testimonianza dal Camerun, coinvolto nella guerra dalla Francia Libera di De Gaulle, sposta l’attenzione ai paesi dell’Africa subsahariana, mostrando davvero la globalità del conflitto.
A questo riguardo è da aggiungere il contributo personale di Adama Kasse del Senegal, che ha riferito del nonno materno che combatté a fianco dei francesi.
Le interviste contengono soprattutto riferimenti alla storia italiana. Poche sono le storie di percorsi individuali, nella maggior parte si tratta di ricordi particolari, di una guerra che ha coinvolto la popolazione in tutti gli aspetti della vita e che non ha visto gli italiani schierati su un unico fronte. Una Resistenza al plurale è quella che è emersa dalle testimonianze, molto poco retorica.
La storia di un militare dopo l’8 settembre 1943.
“Mio padre Giorgio nacque nel 1920, all’epoca dello scoppio della Guerra era iscritto all’università, perciò non fu chiamato subito a prendere le armi, in questo modo ebbe la fortuna di non partecipare alle campagne di Grecia e Russia come molti suoi coetanei, alcuni dei quali non hanno più fatto ritorno. Venne chiamato solo all’inizio del 1943, per essere inviato alla scuola ufficiali di Caserta. L’8 settembre del 1943 si trovava a Roma di rientro da una licenza e stava per prendere il treno per Caserta, quando un conoscente lo avvertì che l’Italia aveva firmato l’armistizio e che i soldati italiani venivano rastrellati dai tedeschi come traditori e inviati ai campi di concentramento. Fece ritorno velocemente a Bologna, dove stette per un po’ nascosto nella soffitta di una casa in Via Santo Stefano abitata da parenti, poi sfollarono tutti a Monzuno. Qui venne catturato dai tedeschi che però lo chiusero in pollaio, perché nel frattempo era stato loro ordinato di recarsi a Marzabotto e non avevano tempo di occuparsi di lui. Riuscì a scappare e dalle colline nella notte vide Marzabotto che bruciava. Era la notte dell’eccidio di Marzabotto. Dopo queste disavventure per fortuna al termine della guerra riuscì a fare ritorno a casa sano e salvo!” (Testimonianza di Cristina Gandolfi)
Convivenza con i tedeschi alloggiati in casa, ricordati a volte come vittime della stessa tragedia:“Io conservo il ricordo particolare di un tedesco che tutte le domeniche, quando era libero di uscire, veniva a scaldarsi davanti al fuoco di casa nostra e, mettendosi tutte le foto della famiglia sulle ginocchia, piangendo inveiva, dicendo: “Guarda il nostro fuhrer come ci ha ridotto!”(Testimonianza di Bruna Benfenati).
Ospitalità agli “sfollati”, a soldati alleati (“Noi in casa avevamo solo un soldato polacco, si chiamava  Ladis. Ho un bel ricordo di lui e mi ci ero affezionata, gli piacevano molto le tigelle che faceva mia madre. Siamo rimasti in contatto anche dopo la sua partenza”, testimonianza di Marisa Zanni), a disertori (“un signore scappato dalla caserma rifugiato nel nostro granaio”, testimonianza di Bruna Benfenati).
Ebrei accolti ma non salvati: “La nonna materna ha ospitato nella casa in collina (nei pressi di Arezzo) una famiglia ebrea, di cui non mi ha mai parlato a causa del trauma subito in seguito alla loro morte per mano dei tedeschi” (Testimonianza di Lucia Favilli)
Violenze non solo da parte degli occupanti tedeschi.
“Nessuno conserva un bel ricordo di quegli anni, tutti avevano paura o erano preoccupati per amici o parenti che combattevano o dovevano nascondersi per le rappresaglie, ma forse i ricordi più brutti riguardano il periodo immediatamente successivo alla guerra. I miei genitori venivano entrambi da Cento in provincia di Ferrara e c’era una zona tra Bologna e Ferrare famosa per le rappresaglie contro gli ex fascisti o presunti tali dove vennero perpetrati atti di estrema violenza.” (Testimonianza di Cristina Gandolfi)
“La cosa che ricordo meglio del dopoguerra è di come certe ingiustizie non si fermarono, nonostante la pace. Un caso che fece molto scalpore nel mio paese fu quello di un partigiano, che per vendicarsi, uccise un latifondista sparandogli e lasciandolo morire dissanguato.” (Testimonianza di Bruna Benfenati)
La storia più interessante è stata quella della famiglia di Paola Deleonardis, perché descrive quella parte degli italiani che non ha aderito agli ideali della Resistenza.
Il padre, napoletano, aveva conseguito la laurea d’ingegneria all’accademia militare, la madre apparteneva ad una famiglia austriaca di classe sociale elevata trasferitasi in Italia.
“Mio padre era militare, e mia madre fascista “di nascita”: nessuno dei due aiutò mai le lotte per la liberazione o gli alleati. Loro erano, dal nostro punto di vista, “i nemici”, il “pericolo”.
Mio padre prestò sempre aiuto al regime, anche se non lo appoggiò mai completamente [Fu messo a capo della Oto Melara, un’importante fabbrica di armi], mia madre invece era fascista convinta e supportava con impegno il gruppo conosciuto come “Decima mas”. E come naturale, io e mio fratello fummo cresciuti da loro. Ci volle veramente tanto tempo, nonché uno sforzo senza pari, per capire e accettare che i nostri genitori erano nel torto. Che il fascismo era dalla parte sbagliata, e perché. Spesso, chi ha ideologie sbagliate non è di per sé una persona “sbagliata”; semplicemente, la sua mente è stata plasmata nel modo sbagliato, o non ha avuto modo di conoscere altro.”
Una comunanza di storie, storie personali anche molto diverse, ma ognuna necessaria a completare e soprattutto a trovare la verità di quel quadro generale che è la storia comune, non solo italiana od europea, perché ciascun punto di vista è una domanda che apre la strada ad una interrogazione e perciò ad un approfondimento.
Una narrazione storica più aperta, più flessibile, più disponibile ad accogliere elementi nuovi senza la preoccupazione di riuscire subito ad includerli in un discorso compiuto, aiuta a formare una coscienza culturale polivalente, più aperta alle avventure dell’incontro e alla capacità di assimilare il diverso da sé. E’ un’attitudine quella che è da formare, un modo di essere e non solo una coscienza critica.

Antonia Grasselli
Insegnante di storia e coordinatrice del progetto

Sono pubblicati in formato PdF i due questionari utilizzati per le interviste.

Questionario intervista ai genitori Questionario intervista ai nonni

Per un approfondimento: Dalla memoria alla storia. Normandia i luoghi dello sbarco

Parte 1

Parte 2


CON IL CONTRIBUTO DI

STORIAMEMORIA.EU OSPITA IL SITO DEL PROGETTO REALIZZATO DAL LICEO SCIENTIFICO “E. FERMI” DI BOLOGNA
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LICEO SCIENTIFICO “E. FERMI”