“UBUNTU”. IO SONO PERCHE’ NOI SIAMO
Italiano 18 gennaio
Lezione introduttiva al percorso. Attività di ice braking
La parola d’ordine è “confronto”. Dialogare, nel senso forte del termine, non è semplicemente parlare, è qualcosa di più. E’ esporre se stessi alla forza prorompente e alla bellezza silenziosa della diversità.
La chiave per arrivare al dialogo è il gioco, poiché solo attraverso il gioco l’uomo ritrova sé stesso negli altri.
Ed è proprio con un gioco che è iniziata la prima giornata del progetto “Al di là dei muri”.
Dopo esserci divisi in quattro gruppi, ci siamo ulteriormente suddivisi in coppie e ciascuno, seguendo le domande di una scheda precedentemente distribuita (“La tua carta d’identità”), ha trascritto le risposte del compagno e, al termine di tutto, le ha esposte alla classe.
“Quale è il tuo piatto preferito?”, “Che musica ascolti?”, “Dove ti piacerebbe vivere?”… Domande che, nella loro misurata semplicità, ci hanno permesso di conoscere non solo i ragazzi stranieri, ma anche di conoscerci tra di noi … scoprendoci tutti molto più simili di quanto ci aspettassimo.
E’ seguita la scelta del nome del gruppo. Il nostro era come se fosse stato lì ad aspettarci per tutto il tempo: ubuntu, letteralmente “io sono perché noi siamo”, concetto attestato con significati simili in tutte le lingue dell’Africa, poiché la bellezza sta nell’essere differenti gli uni dagli altri. L’unicità è preziosa solo in un gruppo.
Goodness il nome scelto dal terzo gruppo. Thomas spiega che questo nome, parola che in inglese significa bontà, è stato proposto da Festus, ragazzo di origine nigeriana componente del loro gruppo, perché “con il nostro impegno noi stiamo facendo del bene ai nuovi amici africani, ma anche una esperienza che fa bene a noi per crescere”.
Aba Oso, che nel dialetto di Benin City, città natale di Ezra, significa “Ciao come va?” e “Sto bene” è il nome del secondo gruppo, scelto per ricordare l’intento del gruppo di studio: vogliamo conoscerci a vicenda e aiutarci reciprocamente ad imparare lingue diverse. Lo scopo del gruppo, ha ricordato Giulio, “è che Ezra impari le basi dell’italiano e, allora, il saluto nel suo dialetto simboleggia il fatto che lui arrivi a trovarsi meglio in questo nuovo paese, sentendosi a suo agio nella comunità, un po’ come faceva in Nigeria.”
Un po’ spiazzati dalla richiesta di dare un nome al proprio gruppo, ha spiegato Giorgio, la scelta è caduta sul nome di un piatto del Gambia: Zuppa di rakile e pollo, “per onorare la nazione del nostro compagno e perché ci sembra un nome simpatico”.
La giornata è terminata con un ultimo gioco: ci siamo radunati tutti a cerchio. Ognuno ha pensato a un posto nel quale si sarebbe nascosto se non avesse voluto farsi trovare da nessuno. In che posizione saresti? Tutti abbiamo iniziato a metterci nelle pose più strane … in equilibrio su un piede, raggomitolati su noi stessi, schiacciati contro il muro … ma non era finita qui. Ognuno, nella sua posizione, doveva presentarsi a qualcun altro, il quale avrebbe “rubato” il suo nome e la sua posizione.
Abbiamo iniziato a camminare goffamente, a presentarci agli altri, e tutti abbiamo riso. Ed era una di quelle risate che in sordina ti aprono il cuore e la mente, poiché ci si rende conto che se basta solo un gioco per rendere felici tante persone diverse, forse non si è poi così tanto diversi.
Barbara Esposito